Negoziante chiude per paternità con un cartello, ma non manca la risposta ironica sotto il primo cartello che ha fatto il giro dei social.
Oggi proviamo a squarciare di poco il velo che separa lettori e giornalisti. Sì, perché l’ironico cartello che andremo a raccontare, e la sua normale e simpatica espansione sui social, è accaduto a Roma. Si sa, noi romani abbiamo una sottile ironia costante nella nostra parlata, che gioca di continuo con il nostro interlocutore. Non perdiamo occasione di ironizzare, anche in maniera grottesca e cattiva, sulle vicende di tutti i giorni.
In questo abbiamo una dote che pochi riescono ad avere, la capacità sempre di riuscire a dire qualcosa di iconico e ironico nel modo e nel momento giusto. Succede a Roma, come raccontavamo di un gommista che, alla nascita di suo figlio chiude la serranda lasciando un messaggio che già di per se, racchiude un gioco di parole ironico, tagliente e giusto: “Chiuso per figlio“.
L’ironia dei romani: “chiuso per figlio”
Un cartello di livello che lascia trasparire due cose essenziali: il gioco di parole e l’esigenza sociale. Si torna a parlare di paternità, anche se in un contesto che vuole essere puramente ironico e dissacrante. La paternità, nel nostro paese, non è riconosciuta come si deve, sia dal punto di vista sociale ma anche economico. E questo un romano lo sa, e sa che non viene riconosciuta forse perché “Mater semper certa est, pater numquam“.
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E così, senza lasciare nessun dubbio all’immaginazione, qualcuno, scherzosamente, risponde con un secondo cartello, affisso esattamente sotto il primo, sulla serranda del gommista “Riapri, non è il tuo“. Queste battute hanno reso virale la foto che ha spopolato sui social, diventando l’ennesima riprova dell’ironia tagliente romana.
Proprio parlando di ironia, per cercare di alzare il livello di questo articolo e concedervi un po’ di cultura territoriale romanesca, vi lascio qua un sonetto di Gioachino Belli, datato 1833, che lascia intendere l’ironia e il gioco tipico romanesco, sul valore dei figli.
Li Fijji
Disiderà li fiji, eh sora Ghita?
Sì, ppe le bbelle ggioje che vve danno!
Prima, portalli in corpo guasi un anno:
poi, partorilli a rrisico de vita:
allattalli, smerdalli: a ‘ggni malanno
sentisse cascà in terra stramortita:
e cquanno che ssò granni, oh allora è ita:
pijeno su er cappello, e sse ne vanno.
Cqua nnun ze pò scappà da sti du’ bbivi:
si ssò ffemmine, sgarreno oggni tanto:
si ssò maschi, te viengheno cattivi.
‘Gniggiorno un crepacore, un guaio, un pianto!…
E vvòi disiderà li fijji vivi?!
No, nnò, commare: Paradiso santo!