La donazione dei vestiti ha anche risvolti negativi: cos’ha raccontato il giornalista nel libro dopo il viaggio in Africa
In rete è ancora possibile trovare il documentario che il grande giornalista Rai Sergio Zavoli realizzò nella prima metà egli anni Sessanta, La tratta delle pezze. Raccontò del fiorente mercato dei “panni americani” di Resina, all’epoca nome di Ercolano, nota città vicino Napoli e porta d’accesso al Vesuvio.
Il mercato degli abiti usati e del vintage ha dato lavoro a tantissime persone nella città degli scavi archeologici, anche se oggi non è più splendente come è stato fino agli anni Novanta.
Resina all’epoca fu antesignana delle moderna app per rivendere vestiti usati e dei diversi negozi che troviamo tra le nostre strade dediti solo al commercio dei capi usati.
Perlopiù sono charity shop, negozi caritatevoli, di beneficenza, ai quali offrire i vestiti che non usiamo più. Molti poi vanno anche nel sistema organizzato dai Comuni con gli appositi cassonetti per la raccolta.
Le donazioni sono in molti casi sono un mezzo di smaltimento dei rifiuti e non sempre il sistema riesce a sostenerlo. Il processo di avvia dal momento in cui il nostro capo di abbigliamento lo diamo al negozio o lo depositiamo nell’apposito cassonetto. Nella macchina che si mette in moto ci sono tante persone che sono legate proprio come il filo di cotone di una maglietta, in tutte le regioni del mondo.
Con il libro Wasteland il giornalista di GQ Oliver Franklin-Wallis ha mostrato che il cosiddetto fast fashion sta generando una montagna di rifiuti.
Proprio quel filo di cotone il giornalista l’ha voluto seguire. Scrive in un articolo: “È così che, in un giorno di primavera dell’anno scorso, mi sono ritrovato su un volo diretto verso l’Africa occidentale“.
Racconta che ogni settimana quindici milioni di capi arrivano a Kantamanto, in Ghana dove ci sono trentamila venditori. Hanno moltissimo materiale frutto di donazioni a charity europee e nord americane. Dal Ghana l’immensa mole giunge in Costa d’Avorio, Togo, Niger, Benin e altri Stati ancora.
Oliver Franklin-Wallis nel libro mette in evidenza che le donazioni, anche se hanno un fine nobile, paradossalmente anche hanno fatto male all’Africa, distruggendo le locali industrie manifatturieri tessili. Un effetto negativo è che tra il 1975 e il 2000 il Ghana ha segnano meno 75% del personale impiegato prima nel settore. Il motivo è che le aziende non potevano competere sul prezzo con un prodotto che gli europei avevano regalato.
Il problema è anche ambientale. Sono tantissimi i rifiuti che vanno a finire in discarica in un sistema che vede ogni tipo di materiale mischiato. Insomma, è necessaria un’attenta programmazione per evitare che l’Africa, ancora di più, diventi la pattumiera del mondo industrializzato.