Il Bonus facciate, a dispetto degli intendimenti iniziali, rappresenta uno degli scandali più importanti a cui si è assistito dall’inizio del Covid ad oggi. Il motivo
Sequestrati beni per un valore pari a due milioni di euro. E’ questa la triste contabilità di uno dei provvedimenti di bandiera varati durante l’era Covid: il bonus facciate. La Guardia di Finanza ha avuto il suo bel da fare, in questi giorni, per individuare, e porre sotto sequestro giudiziario, tutta una serie di cantieri nati grazie al provvedimento. Sugli accusati pendono accuse pensanti che vanno dalla falsa fatturazione alla truffa aggravata passando per il conseguimento di erogazioni pubbliche a cui non avevano titolo.
Parte tutto da un imprenditore del settore edile che aveva messo in atto un, presunto, meccanismo di frode. Ma come? Comunicando direttamente all’Agenzia delle Entrate la sussistenza di ben due milioni di euro riconducibili a dei redditi di imposta ad oggi ritenuti inesistenti per lavori mai fatti. Queste spese erano state attribuite a dei lavori che avrebbero usufruito del bonus facciate, lavori che però, non sono mai stati avviati.
Il Tribunale di Padova, competente territorialmente sulla vicenda, si è quindi attivato per emettere il sequestro preventivo dei fondi e permettere a chi di dovere di effettuare i dovuti accertamenti. Con calma e rigore. I lavori erano stati “eseguiti” per le sedi due società dalla città di Padova, ma con successivi accertamenti, si è scoperto che le due società non disponevano di strutture fisiche.
Il che rendeva, secondo il Tribunale, difficile all’imprenditore edile, eseguire dei lavori di ristrutturazione delle due facciate, beneficiando inoltre del bonus statale apposito. Un’altra cosa che è stata confermata dai primi controlli è che le due società, alle quali era stato intestato il bonus facciate, non dispensavano, oltre che all’evidenza mancanza fisica di una sede da ristrutturare, dei mezzi necessari per potersi permettere lavori simili.
A livello puramente economico, nessuna delle due avrebbe potuto gestire lavori simili, con compensi previsti indirizzati a venti persone diverse. I crediti fittizi, che costituivano il profilo illecit,o sono stati monetizzati per 1,2 milioni di euro, utilizzando la cessione di Poste Italiane. I restati 800 mila euro risultano ancora registrati all’interno dalla seconda società. È per questo che il tribunale di Padova ha deciso di mettere tutto sotto sequestro preventivo e di indagare, inoltre, su colui che al momento è ritenuto il principale sospettato per questi atti. Rischia fino a cinque anni di carcere