I versamenti dei contributi volontari presso l’INPS rappresentano una pratica poco conosciuta ma molto efficace. Ecco come funziona
“Mio Padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante”, lo cantava, tantissimi anni fa, nel 1976 per la precisione, il grande cantautore (e scrittore) emiliano Francesco Guccini. Lo cantava in anni in cui il posto fisso (meglio se statale) era davvero alla portata di tutti. Anni in cui però un artista come lui, già sapeva che non ne avrebbe beneficiato.
Sono passati quasi cinquanta anni da quei versi immortali e la piramide si è completamente ribaltata. Oggi, infatti, nel 2023 i lavoratori hanno mediamente la sensazione che la pensione rischia di essere un miraggio. E che gli “ultimi” che avranno questa possibilità iniziano ad essere nettamente una minoranza. Eppure, l’Italia è ancora saldamente un Paese dall’economia sviluppata. Non solo. L’Italia è presente, a pieno titolo, tra i trenta paesi con l’economia più sviluppata.
Per non tacere del fatto che ha un sistema di Previdenza Pubblica ancora molto avanzato anche se con i conti a rischio equilibrio. Due i fattori che generano questo stato di cose. In primo luogo, la denatalità, coloro che fra venti o trenta anni dovranno pagare la pensioni di chi lavora oggi. Che a sua volta, ricordiamo, paga con i contributi che versa le pensioni di chi ha lavorato ieri in un meccanismo, forse perverso, chiamato sistema retributivo e variato con la grande riforma varata da Lamberto Dini nel 1995.
Il secondo è la costante precarizzazione del lavoro. Un meccanismo, altrettanto perverso, che di fatto impedisce a tanti lavoratori di costruirsi una pensione decente. Per mitigare questo stato di cose sono stati inseriti nel sistema due meccanismi. Uno è quello che prevede di affiancare alla pensione INPS una rendita, quella dei fondi pensione. Un meccanismo ancora fragile ed incerto ma vivo. Due quello di permettere ai lavoratori di versare i contributi all’Istituto Nazionale Per la Previdenza Sociale, in modo volontario.
Ma anche qui il meccanismo è farraginoso. Non tutti i lavoratori, infatti, possono accedere a questa opportunità. Sono necessarie alcune precondizioni. La prima è che il lavoratore abbia almeno 60 mesi di contributi mensili, 5 anni, e soprattutto di non rientrare nella categoria dei titolari di pensione di invalidità, di essere lavoratori autonomi non iscritti ad INPS o alla cassa di categoria. Altra condizione è in ordine alla cifra da versare, non può essere inferiore al 40% dell’assegno minimo di pensione. Assegno minimo che nell’anno 2023 è di poco più di 227 euro