I rincari sull’energia e sui materiali da costruzione hanno fatto salire del 70% l’investimento per il Superbonus.
Il Superbonus è una misura che ha avuto i suoi allori fino a qualche tempo fa. L’attuale Governo ha deciso di abbassare il rimborso dal 110% al 90% per il 2023. Cifra che scenderà ad 80 per il 2024 ed ancora più giù nel 2025. Evidentemente lo Stato ha deciso che l’investimento in termini di spesa non valeva la pena.
Certo, il denaro pubblico investito non è stato poco. Certo, le regole iniziali erano talmente generiche da lasciare ampio margine di manovra a chi dal Superbonus voleva solo trarre profitto. Si deve ricordare che il parco edilizio italiano è tra i più arretrati d’Europa. E non solo in termini di efficientamento energetico, ma anche di sicurezza. Specialmente in un Paese con un forte rischio sismico quale è lo stivale.
Per cui lo Stato – se fosse ancora davvero welfare – sarebbe dovuto intervenire in prima persona a modificare questi parametri. Ed invece ha affidato i lavori alla buona volontà dei cittadini e delle imprese di costruzione. Di conseguenza, anche se l’investimento è stato molto, ne è valsa la pena. Doveva essere in ogni caso fatto.
Superbonus, l’aumento dei costi
Dopo la riduzione della percentuale di rimborso, e politiche più rigide sullo strumento della cessione del credito, arriva l’ennesima mazzata al Superbonus: l’aumento dei prezzi. Le regole per i rimborsi prevedono un massimale, che ad oggi si raggiunge in un attimo. Il Corriere della Sera, con i suoi esperti, ha tirato le somme. Secondo il quotidiano, lo stesso intervento, rispetto a quattro anni fa, costerebbe il 70-75% in più.
Colpa del costo dei materiali da costruzione e dell’aumento del prezzo dell’energia. Tutti noi, con l’inflazione alle stelle abbiamo osservato come qualunque acquisto costi cifre spropositate, e come gli aumenti non smettano di salire. Nonostante ciò il 75% in più è una cifra davvero sorprendente.
La conseguenza più facilmente intuibile è che questo comporterà un’altra mazzata al Superbonus e soprattutto difficoltà enormi per le imprese che hanno già iniziato i lavori, e che si devono mantenere all’interno dei preventivi. Le materie prime hanno subito aumenti che vanno dal 15% dell’acciaio, al 20% del calcestruzzo, al 40% in più dei tetti ventilati. Già nel 2022 il costo per gli infissi era salito del 35%.
Mentre fortunatamente il prezzo per i pannelli solari è sceso. Ma questo non basta per rendere l’operazione più conveniente. Il rischio è che la misura pubblica verrà utilizzata sempre meno, e che l’efficientamento energetico si fermi nel nostro Paese, con la conseguenza di ritrovarsi sempre più dipendenti dalle energie non rinnovabili.