Queste sono le condizioni anagrafiche e contributive necessarie per una lavoratrice a raggiungere la pensione minima, i dettagli
Il sistema previdenziale italiano prevede diverse vie d’uscita dal mondo del lavoro per accedere alla pensione, con metodi di calcolo della contribuzione diversi e requisiti anche molto distanti l’uno dall’altro. Ciò non rappresenta però un elemento di flessibilità e adattabilità alle condizioni di ogni lavoratore, in quanto le regole sottostanti sono rigide e obbligano a scelte determinate.
La condizione femminile è poi particolare in quanto se da un alto vi sono delle riduzioni dell’età anagrafica necessaria per la pensione, dall’altro le condizioni della carriera lavorativa sono diverse da quelle maschili e non è raro che le donne abbiano problemi ad accumulare le annualità contributive necessarie, per le continuità interrotta da vicende familiari, per il ricorso più frequente al part time e per una maggiore precarietà.
Accedere alla pensione minima, 20 anni di contributi
Il sistema attuale lascia alle donne diverse opportunità per andare in pensione con soltanto 20 anni di contributi. Con il sistema contributivo, introdotto nel 1996 e aggiornato definitivamente con la legge Fornero del 2011, il numero degli anni di versamenti all’Inps diventa fondamentale per il raggiungimento di un assegno pensionistico dignitoso.
Inoltre è stata rafforzata la tendenza già in atto di allungare l’età di pensionamento di vecchiaia delle lavoratrici per allinearle a tutti gli altri lavoratori. Quindi l’accesso alla pensione di vecchiaia per le lavoratrici che hanno contributi solo dopo il 1996 è possibile solo a 67 anni di età, 20 anni di contributi e un assegno pari a 1,5 volte il valore dell’assegno sociale (quest’anno la cifra minima è di circa 755 euro).
Qualora a 67 anni non si avesse un trattamento pari o superiore a questo valore, sarà necessario attendere i 71 anni di età a prescindere dall’importo del trattamento percepito. Per chi invece gode di retribuzione più elevata per formare un montante contributivo consistente, altro elemento determinante per godere di pensioni medie e alte, esiste la possibilità di abbandonare il lavoro a 64 anni di età e 20 anni di contributi.
Questo è possibile purché l’assegno calcolato sia pari ad almeno 2,8 volte quello sociale (nel 2023 il valore dell’assegno pensionistico deve essere pari almeno a 1.410 euro all’anno). Si tratta della pensione anticipata contributiva, valida naturalmente anche per le donne. Sotto questo valore le lavoratrici non potranno andare in pensione in anticipo.
Altre formule da sfruttare
Sono previste poi nel nostro ordinamento delle formule di prepensionamento che, con un minimo di anni di contributi versati e in possesso di determinati requisiti, consentono alle lavoratrici l’accesso alla pensione con contributi minimi. Vediamo nel dettaglio di che cosa si parla. La prima possibilità è l’ipopensione che permette di uscire dal lavoro 7 anni prima del compimento dei 67 anni e con almeno 20 anni di contributi.
È valido per le dipendenti delle grandi aziende con più di 15 dipendenti ed è versato dal datore di lavoro con un assegno pari alla pensione maturato fino a quel momento, fino al momento della pensione di vecchiaia. Si tratta di uno strumento di prepensionamento non di un trattamento previdenziale vero e proprio e non gode di tutti i diritti delle altre pensioni previdenziali.
Una soluzione dalle caratteristiche simili è il contratto di espansione, anche questo una forma di prepensionamento per aziende con almeno 50 dipendenti. L’anticipo è consentito alle lavoratrici che non hanno più di 5 anni dal conseguimento della pensione di vecchiaia o che possiedano il requisito per la pensione anticipata. C’è poi la RITA (Rendita Integrativa Temporanea Anticipata) con anticipo della pensione fino a 10 anni, solo se si possiede anche un trattamento integrativo e complementare con almeno 5 anni di versamenti.
Infine esiste la pensione anticipata di vecchiaia per invalidi civili e non vedenti per le lavoratrici del comparto privato (sono escluse le dipendenti pubbliche), con almeno 20 anni di contributi e un’invalidità pensionabile pari almeno all’80 per cento. Per le donne in possesso di questi requisiti è consentita a 56 anni, con ben 12 mesi di finestra mobile, mentre per le lavoratrici cieche con almeno 10 anni di contributi maturati dopo la perdita della vista, la pensione è possibile a 51 anni.