Permessi Legge 104: scatta il licenziamento, cosa è successo col coniuge

Permessi retribuiti e Legge 104: l’abuso è punito severamente anche con il licenziamento. Non puoi ingannare Stato e malato.

Il lavoratore che vuole aiutare una persona disabile curandola durante i permessi retribuiti non può gestire le ore a proprio piacimento, ci sono regole precise da rispettare e chi non lo fa può andare incontro alla più terribile delle punizioni.

anziano preoccupato alla finestra
Permessi Legge 104: scatta il licenziamento, cosa è successo col coniuge – bonus.it

L’abuso dei permessi previsti dalla Legge 104 del 1992 merita una punizione severa. Almeno per quanto riguarda la Cassazione. Non è solo un problema di inganno verso i datori di lavoro, ma è anche una grave offesa morale nei confronti del malato che deve essere assistito con cura e dedizione continua. Il caregiver nasce proprio per questo. Ma se tu sfrutti le ore di permesso pagate per fare altro, non puoi pensare di farla franca, e dovresti mettere una mano sulla coscienza, oltre che sul portafogli che rischia di rimanere improvvisamente vuoto.

Se poi gli abusi vengono effettuati addirittura all’interno di una famiglia, allora la sentenza della Cassazione non fa una piega e non c’è lotta sindacale che tenga per rimediare ad un simile inganno. Qui parliamo di marito, moglie e madre di lei.

Legge 104: licenziamento giusto se fai questo errore

I permessi per l’assistenza a familiari con gravi disabilità non possono essere impiegati a scopi estranei alla loro funzione, pena la compromissione del rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Questa la sintesi della Corte di Cassazione che di fatto ribadisce ciò di cui tutti dovrebbero – il condizionale è d’obbligo – essere a conoscenza. Il rischio massimo per chi abusa dei permessi retribuiti è il licenziamento, a poco servirà fare ricorso in certi casi.

anziano con bastone e assistente
Legge 104: licenziamento giusto se fai questo errore – bonus.it

La storia che ha dato un altro piccolo aiuto alla giurisprudenza riguarda un uomo, sua moglie e la madre di lei. Lui usufruiva dei permessi previsti dall’articolo 33 della legge 104 per assistere la suocera malata. Ma da quanto è emerso in fase di indagine, trascorreva parte del tempo a lavorare presso l’azienda della consorte. Quindi usufruiva dei permessi retribuiti ma anziché restare sempre accanto alla donna malata, lavorava e non certo nell’azienda di cui era dipendente. Il suo datore di lavoro ha assoldato un investigatore (è un suo diritto per legge) per capire come davvero il lavoratore trascorresse il tempo pagato dall’azienda durante i permessi.

I detective hanno così scoperto che il dipendente durante le giornate in cui avrebbe dovuto occuparsi della parente, riceveva clienti e svolgeva regolari attività d’ufficio insieme alla moglie. L’azienda lo ha licenziato e lui ha fatto ricorso. In primo grado, il Tribunale aveva dato ragione al lavoratore, annullando il licenziamento e imponendo il reintegro. Poi, la Corte d’Appello ha ribaltato questa decisione e la Cassazione ha respinto in via definitiva il ricorso del dipendente, giudicando inammissibili le obiezioni presentate.

Secondo la Suprema Corte, l’impegno verso il familiare non può essere simulato, né confuso con altre occupazioni che esulano completamente dall’ambito della cura. Attività come fare la spesa, accompagnare a visite mediche o occuparsi di incombenze quotidiane rientrano nelle mansioni ammesse, purché siano svolte esclusivamente per conto del disabile. Tutto il resto è reato: morale contro l’assistito e civile o addirittura penale – si potrebbe configurare il reato di truffa – verso il datore di lavoro e lo Stato.

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