La sentenza ha scelto di punire il giovane bullo, archiviando la frustrazione dei genitori: la violenza non è più giustificata
La primavera è da sempre la stagione delle gite scolastiche. Per tanti studenti è un momento goliardico, quasi sacro: si chiudono i libri per qualche giorno, si parte con gli amici e si vivono avventure lontano dai banchi, in cerca di quella tanto attesa libertà. La libertà però va riscattata.
La scuola è il primo luogo in cui impariamo a condividere spazi e tempo con altri, e il condividere è un’azione che prevede rigide regole, imposizioni di libertà, che finisce dove inizia quella degli altri, dove arriva il rispetto. Quando tutto ciò non c’è, significa che il bullismo si è insinuato nei rapporti interpersonali e vanno tirate le briglie, perché educare è un atto di amore nei confronti di chi si presenta al mondo e può cadere in errore.
Per una famiglia veneta quest’anno la notizia della gita ha avuto il sapore amaro del rifiuto. Il figlio, ancora minorenne, è stato escluso dal viaggio d’istruzione per via del suo comportamento lesivo nei confronti di un compagno. Non si tratta quindi di voti troppo bassi, ma di un comportamento inaccettabile e pericoloso, che va punito, oggi più che mai, per far comprendere, già durante lo sviluppo, che la violenza non può essere mai una risposta in una comunità che vive grazie alla cooperazione con l’altro.
I ragazzi hanno il bisogno di comprendere che non per forza si deve andare d’accordo con tutti, ma che proprio per questo motivo bisogna schierarsi dalla parte del più debole, difenderlo, e comportarsi con educazione anche con chi la pensa in modo diverso da noi.
Il minorenne veneto aveva colpito verbalmente e fisicamente un compagno con disabilità, da qui la decisione dell’istituto di sospenderlo e non comprenderlo nel viaggio d’istruzione. I genitori non l’hanno accettato. Hanno deciso di portare la questione in tribunale, convinti che fosse una punizione esagerata, che limitava il diritto del figlio all’istruzione e alla socialità.
Ma la giustizia ha dato loro torto. E la sentenza ha fatto discutere genitori e insegnanti di tutta Italia. Il comportamento dei genitori porta a riflettere su un grave problema che emerge nel rapporto genitore-figlio del contemporaneo. La serie tv Netflix Adolescence ha raccontato in modo preciso che spesso è proprio la convinzione dei genitori di coprire i propri figli vedendoli sempre come bravi ed educati a far venire fuori giovani con problemi di controllo e squilibri emotivi, che li portano ad agire con violenza, non riuscendo a governare i propri impulsi.
Gli episodi di violenza nei confronti del ragazzo disabile avevano turbato la classe, messo in difficoltà i docenti e generato forte preoccupazione nelle famiglie. Il consiglio di classe ha così deciso una misura educativa: escludere il ragazzo dalla gita scolastica, considerata non un “premio”, ma un’opportunità riservata a chi dimostra di saper stare in un contesto collettivo in modo responsabile. Una decisione difficile, ma condivisa da tutto il corpo docente, nonostante i genitori si siano opposti impugnando la causa.
Questi ultimi, si sono rivolti al Tar del Veneto, chiedendo l’annullamento del provvedimento, sostenendo che si trattasse di una sanzione illegittima che violava i diritti del figlio, in particolare quello alla partecipazione scolastica. Con la sentenza n. 353/2025, il Tar ha dato pienamente ragione alla scuola.
I giudici amministrativi hanno chiarito che la partecipazione alla gita scolastica non è un diritto soggettivo assoluto, ma rientra nelle attività integrative e facoltative della scuola. In altre parole, non si tratta di un obbligo, ma di un’opportunità che può essere limitata in caso di comportamenti gravi.
Tutti i comportamenti intenzionalmente lesivi, sia verbali che fisici, in contesto scolastico devono essere puniti, un chiaro segnale del bisogno di ispirarsi al passato, a un’educazione più ferrea, che spesso i genitori oggi non riescono ad adottare, facendo più danni che altro. È ora di dare un segnale forte, di dire chiaramente che la violenza ha conseguenze, anche simboliche.
In un momento storico in cui il bullismo, anche in forma digitale, è una piaga sempre più diffusa tra i banchi, questa pronuncia del Tar Veneto richiama tutti – famiglie, scuole e istituzioni – a una riflessione su cosa significhi davvero educare. E forse, proprio da qui, si può iniziare a ricostruire un clima più sano nelle nostre aule.